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Una delle antiche famiglie roccellesi, numericamente più consistenti, è quella dei Minici. Ha attraversato il ‘700 e ‘800 primeggiando nel campo professionale e amministrativo di Roccella. Il capostipite di tutti i Minici arrivati fino ai nostri giorni fu D. Giuseppe, Dottore Fisico, che aveva sposato in prime nozze Rosa Cosenza di Stignano (morta nel 1765) e successivamente D. Agata Talotta. Dei due matrimoni nacquero ben 11 figli. Delle donne, che sopravvissero tutte, sposarono figure di primo piano dei vari paesi del circondario roccellese. Per dovere si deve citare D. Maria Anna Minici che fu la prima maestra della scuola pubblica di Roccella, istituita obbligatoriamente nel 1808, dopo la presa del Regno di Napoli da parte dei Bonaparte. Donna Maria Anna, il 28 Agosto 1809, sposò Giuseppe Totino, trasferendosi altrove, quindi finì dopo solo un anno il suo servizio di maestra.
I maschi che continuarono a vivere divennero un dottore fisico, un “Aromatario” (farmacista), un proprietario e un avvocato. Ognuno di questi ha dato origine a un nuovo e consistente ramo di questa famiglia.
Da riportare che il medico D. Giuseppe Minici si rese protagonista, suo malgrado, di una vicenda, che val la pena di raccontare, anche perché coinvolse il Vescovo Monsignor Scoppa. Subito dopo il terremoto del 1783, fu istituita dal governo di Napoli la “Cassa Sacra”, che dava potere nell’opera di ricostruzione post sisma. Per il finanziamento si requisirono tutti i beni posseduti dalle entità ecclesiastiche varie, compresi i Conventi. Proprio una proprietà dei conventuali Paolotti fu oggetto di disputa tra D. Giuseppe Minici e il Vescovo. Attaccato al Convento, prospiciente l’odierna piazza S. Vittorio, vi stava il frantoio di proprietà dei monaci francescani, che i responsabili della Cassa Sacra confiscarono e misero in vendita. Secondo il sistema di allora si mise all’incanto l’acquisto di tale frantoio al miglior offerente. La gara d’appalto si doveva svolgere in tre sedute, secondo le leggi del tempo. Orbene, nelle prime due adunanze si presentò il solo dottor Minici a formulare la sua offerta, senza alcun concorrente. La terza seduta dell’appalto si sostenne a S. Agata del Bianco.
Non sappiamo se il dottor Minici non si propose all’incanto, convinto che nessuno altro si sarebbe presentato in quella sede lontana visto che nelle prime non vi furono partecipanti. Fatto sta che in quella sede di S. Agata si presentò un emissario del Vescovo che presentò un’offerta leggermente superiore di quella che offrì Minici le due sere precedenti. Il frantoio restò assegnato al Vescovo. Una storia che sa, tutt’oggi, di raggiro. Sui resti di quel frantoio fracassato dal sisma e nel suo terreno accanto fu costruito il Palazzo Scoppa, ora Bova-Zito. Se la terza seduta di quella vendita all’incanto si sarebbe tenuta a Roccella, ora saremmo qui a raccontare probabilmente un’altra storia.
Per completare e omaggiare la figura di D. Giuseppe Minici, per qualche anno fu il contabile e erario del Principe Carafa.
Protagonista di un altro curioso avvenimento fu il figlio di D. Giuseppe, l’Aromatario D. Annibale Minici, nelle stesse circostanze post terremoto del 1783. L’azione della Cassa Sacra colpì anche l’altro Convento dei Riformati che subirono il sequestro dei loro beni, oltreché allontanati da Roccella. Ebbene, “Lo Speziale di Medicina” Annibale Minici, si lamentò con le autorità in quanto “somministrava per ogn’anno l’Università di Roccella tutti j medicamenti che gli venivano prescritti da’ Medici alle infermità che pativano, e poi nel mese di Agosto gli si pagavano dall’Università suddetta. Accaduta l’Universal disgrazia del Terremoto furono inibite tutte le tasse dal Vicario Generale delle due Provincie ed il supplicante restò creditore nella somma di ducati dodici e grana trentasei per tanti medicamenti somministrati a detti Rev. Padri come dalle ricette che conserva sottoscritte dal Padre Guardiano …”.
Praticamente il conto dei medicinali si controbatteva tra i cassieri della Cassa Sacra e il cassiere dell’Università. Una lunga controversia che finì in tribunale. La documentazione di questa vicenda si trova nell’Archivio di Stato di Catanzaro, che conserva tra l’altro le ricette dei medici con segnati i medicinali per i Riformati ammalati: curiosità per qualsiasi lettore, le ricette, sono un mucchio di fogli pieni di geroglifici indecifrabili.
D. Annibale Minici sposò D. Diana Berardi di Cutro da cui nacquero due figli. Morta D. Diana nel 1804, D. Annibale sposò D. Agata Jelasi, da cui nacquero ben dodici figli. In tutto 14 eredi che hanno evitato il pericolo di estinzione della famiglia Minici. Tutti i figli maschi dello Speziale di Medicina furono dei prestigiosi uomini di legge e nel tempo Sindaci di Roccella.
D. Annibale, oltre alla sua attività di Aromatario, ebbe vari incarichi amministrativi, per lo più Cassiere Comunale. Tale attività di farmacista proseguì con i figli Saverio e Ilario Antonio, anche se quest’ultimo per poco tempo, causa la morte prematura: aveva 24 anni quando morì il 18 Aprile 1845; qualche mese dopo, il 17 Settembre, cessò di vivere il padre D. Annibale.
Gli eredi di tale famiglia di farmacisti hanno conservato alcuni contenitori, classici vasi di ceramica, dipinti a mano. In tali contenitori è riprodotto uno stemma, di forma ovale, timbrato da una corona di ornamento, dentro lo scudo è raffigurato un leone d’oro del tipo personalizzato. Lo stesso leone, seppur rivoltato, è scolpito nella chiave di volta del portone d’entrata di uno dei tanti palazzi Minici.