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Tralasciando il corso della storia della residenza dei Carafa a Roccella, nei secoli scorsi, ci proponiamo di dare qualche informazione di quello che appare a noi sulla rocca così maestoso che si erge con imponenza che sembra pronto per affrontare tutto quello che gli sta attorno.
La precedente struttura carafesca ha subito, sin dalla sua nascita, continui ritocchi, adattamenti e modifiche che si ha difficoltà a reggere il passo del suo percorso evolutivo. Non sempre la documentazione archivista viene in sostegno per analizzare fasi e vicende della sua formazione.
Da quello che si sa del passato prendiamo quello che serve in questa sede per giustificare la costruzione, la posizione, l’architettura, i bisogni e gli spazi necessari abitativi di una famiglia principesca del ‘700: il nostro Palazzo Carafa.
Per comprendere appieno la dinamica che accompagnò in quel fine ‘600 le vicende della famiglia Carafa, si accenna che l’ultimo erede di quel tempo del feudo Carafa che faceva capo a Roccella, fu Carlo Maria, IV Principe di Roccella. Il suo matrimonio improle con la cugina D. Isabella d’Avalos, mise in crisi il casato, in quanto non esistevano altri maschi disponibili a prendere i destini della famiglia. L’attenzione si riversò su una delle sorelle monache professe dell’Ordine delle Clarisse del Monastero di Santa Maria della Sapienza: D. Giulia. Lasciato appositamente l’abito monacale, D. Giulia sposò il cugino Federico Carafa, del ramo di Bruzzano. Alla morte del Principe Carlo Maria, avvenuta il 1° Giugno 1695, la sorella divenne 5ᵃ Principessa di Roccella e di tutti i feudi siciliani con in testa Butera e Mazzarino. Il destino volle che anche questo matrimonio risultò senza eredi. D. Giulia morì il 3 Dicembre 1703. Fatto importante che segnò il destino dello “Stato de la Roccella” era la situazione difficile per i numerosi debiti accumulati nel tempo dai vari Carafa. Data la circostanza, il Regio Fisco ritenne di mettere sotto sequestro il feudo. Non restava che apprezzare la ricchezza del possedimento attraverso la stima di tutti i beni mobili e immobili dei Carafa. Si creò una situazione complessa dal punto di vista procedurale che finì con la divisione in due dei feudi dei Carafa, siciliano e calabrese. Il ramo siciliano ritornò agli eredi degli antichi feudatari. Per quanto riguarda il feudo del principato di Roccella si fece avanti nella richiesta di rilevarlo D. Vincenzo Maria Carafa, III Duca di Bruzzano. Superando la complessa burocrazia si riuscì sbloccare la situazione col Regio Fisco, nel giugno del 1707 i Carafa di Bruzzano entrarono in possesso dello Stato di Roccella.
Per l’Apprezzo di detto Stato, il Regio Fisco incaricò il regio tavolaro Donato Gallarano e il regio ingegnere Giuseppe Galluccio. Della compilazione di tale documento operata dai due tecnici designati se ne conserva una copia nell’Archivio di Napoli, che è la più importante fonte per la conoscenza del feudo di Roccella di quel primo’700. Dalla dettagliata descrizione del Palazzo dei Carafa sulla rocca di Roccella, si possono capire le scelte pensate dai tecnici progettisti sotto la guida di D. Vincenzo Maria Carafa e della principessa D. Ippolita Cantelmo Stuart. Di certo si dovette aspettare ancora prima di “mettere mano” alla costruzione del nuovo Palazzo. Di certo fu che il principe D. Vincenzo e la principessa D. Ippolita hanno dato un taglio netto col passato, indirizzando sin da subito quello che fu il corso della storia. Sin dall’insediamento dei Carafa nelle terre di Roccella e Castelvetere la loro sede abitativa fu sin d’allora il palazzo di Castelvetere. Infatti, i maggiorenti del casato sono nati proprio lì: Girolamo, Fabrizio, D. Gregorio, Carlo Maria, D. Giulia.
Era l’Autunno del 1707 quando i principi D. Vincenzo Maria e D. Ippolita si dirigono verso Roccella. D. Ippolita era in dolce attesa. Era loro intenzione far nascere il prossimo loro figlio proprio a Roccella, abbandonando l’antica consuetudine di far venire al mondo gli eredi a Castelvetere. Con questa azione si è voluto dare un messaggio chiaro sul nuovo che si stava avviando ove Roccella era al centro della loro attenzione e del loro futuro, doveva divenire di fatto la capitale dello Stato. Curiosità. Il primo loro figlio nato a Roccella fu Carlo Maria, Gerardo, Francesco Antonio, Domenico, Nicola, Donato, Gennaro, Ilario Gaspare, Baldassarre, Melchiorre, Alberto, Vittorio. Era il 15 Dicembre 1707.
Pensiamo che tra la fine del 1712 e l’inizio dell’anno successivo si diede inizio al “Grande Cantiere”. Per la costruzione del Palazzo Carafa lavorarono maestranze di tutti i vari feudi dello Stato, da precisare che la maggioranza era roccellese con un gran numero di mastri muratori, ferrai, falegnami, vaticali e mulattieri. Bisognava dare maggiore visibilità al Palazzo com’era giusto per un’abitazione principesca e alla Chiesa Matrice vicina e fargli acquisire quel prestigio che prima era mortificato. Non dimentichiamo che, proprio di fronte la Chiesa c’era il “Comunello”, sede comunale ove si tenevano gli incanti e le pubbliche riunioni. Esistevano quasi addossate alle dimore del Principe diverse case che impedivano il libero accesso al Palazzo con carri e carrozze. In pratica per l’ampliamento del Palazzo del Principe si accorparono altre case e spazi di pertinenza dei Carafa. Mentre diverse furono le case alienate e demolite per formare la nuova piazza più spaziosa e vivibile. Tutto questo avvenne nel gennaio del 1724. In questo progetto di modifica del piano antistante Chiesa-Palazzo, pensiamo, è inserita la riedificazione dell’attuale Campanile. Sappiamo per certo che alcune case avevano un censo nei confronti del Duomo, che persistevano anche dopo demolizione. Si riporta un passo della Platea della Chiesa Matrice, del 1740, dove l’Arciprete denuncia: “… capitali da me con stento, e fatica riscossi, et esatti, a causa che le dette case, scala, e Campanile si sono demoliti per farsi largo, e piano avanti esso Duomo Maggiore, e Palazzo dell’Eccelsa Famiglia, e casa Carafa …”. Sappiamo per altre vie che la ricostruzione come appare oggi fu merito della principessa D. Ippolita Cantelmo Stuart.
Il 20 Aprile 1726, il Principe D. Vincenzo Maria Carafa passò a miglior vita, proprio nel tempo che si ultimò il Palazzo, così come appare ai nostri giorni. Nel tempo che la famiglia principesca risiedeva a Napoli, il Palazzo restava sotto custodia dei loro fiduciari, personale di servizio e dei vari erari che detenevano la contabilità di tutto il feudo. D. Gennaro, figlio di D. Vincenzo e D. Ippolita, erede del feudo e 7° Principe di Roccella, pur mantenendo a Napoli la sua presenza non disdegnò contatti con i vari feudi della Calabria, anche se fugaci e frequenti furono le sue apparizioni a Roccella.
Il 22 Aprile 1738, D. Gennaro Maria sposa D. Silvia Ruffo dei Principi di Motta S. Giovanni, donna di rara bellezza, scrissero cronisti del tempo. Un capitolo nuovo si apriva per Roccella e sul Palazzo. D. Vincenzo Maria aveva fatto scuola su quello che era il destino di Roccella, doveva assurgersi a capitale di un grande feudo. Ragion per cui i futuri principi dovevano nascere nel Palazzo Carafa di Roccella. D. Gennaro Maria interpretò al meglio il messaggio del padre. Si preparò tutto il necessario, dato che da un po’ di anni il Palazzo non era più frequentato dai principi, ma solamente dalla gente di servizio di corte. All’annuncio dello stato di gravidanza di D. Silvia segui la sua dimora stabile nel Palazzo. Roccella si apprestava a vivere uno storico momento: la nascita del futuro Principe nel Palazzo. Fatta venire in tempo da Napoli l’ostetrica che doveva aiutare la principessa al momento del parto, si attese il grande giorno. Dal Vol. 26, Roccella Jonica, Parrocchia di S. Nicola di Bari, Libro dei battezzati, ricaviamo la notizia:
“Alle 7 del mattino di giorno 13 Luglio 1739, nacque da Gennaro Maria Carafa, Principe di Roccella e del Sacro Romano Impero, e da Donna Silvia Ruffo di Bagnara a cui fu imposto il nome di Vincenzo Maria, Antonio, Francesco, Paolo, Tommaso, Federico, Salvatore, Gaspare, Baldassarre, Melchiorre, Carmelo, Luca, Gregorio, Bruno, Domenico, Michele, Giuseppe, Gioacchino, Bartolomeo, Nicola, Gennaro, Giovanni Matteo, Andrea, Tolomeo, Giacomo, Pietro, Mattia, Filippo, Simone, Tommaso Apostolo, Barnaba, Giacomo Maggiore, Giacomo Minore, Casimiro, Carlo, Vittorio, Ilario, Leo, Benedetto, Pasquale, Agostino, Zaccaria, Giovanni Battista, Gabriele, Raffaele, Bernardo, Alessandro, Amadeo”
Il battesimo fu eseguito nella Chiesa Matrice di S. Nicola di Bari, il 23 Agosto successivo, dal Vescovo Idelfonso del Tufo. Roccella e la famiglia Carafa hanno vissuto nella felicità questo evento. La gioia durò poco. Il 6 Giugno 1740, D. Silvia diede alla luce una bambina, che morì quasi subito, il tempo di ricevere il battesimo da parte dell’ostetrica, così come si usava nei casi di pericolo imminente. Conseguenza del parto e della salute precaria D. Silvia morì, nel Palazzo di Roccella, pochi giorni dopo, il 30 Giugno. Il suo cadavere fu sepolto nella Chiesa dei Cappuccini di Castelvetere. D. Gennaro e il principino Vincenzo Maria abbandonarono Roccella, si trasferirono a Napoli per consentire al piccolo di essere allevato in un apposito istituto. Il palazzo di Roccella si svuotò di nuovo.
Le attenzioni di D. Gennaro erano rivolte a Napoli. Si risposò con D. Teresa Carafa di Policastro. Dopo la morte di D. Gennaro Maria, il feudo passò a D. Vincenzo Maria, 8° Principe di Roccella. Il 13 Dicembre 1760 sposò D. Livia Doria Del Carretto dei duchi di Tursi.
Nel 1770 i Principi si trasferiscono a Roccella. Dal loro arrivo furono eseguiti diversi interventi di abbellimento e decorazioni delle stanze del Palazzo. La loro presenza segnò uno dei periodi più significativi per Roccella non solo dal punto di vista architettonico del Palazzo ma interventi importanti nella Chiesa Matrice, probabilmente, anche nella Chiesa di S. Giuseppe e in altri luoghi sacri del circondario. Un aspetto curioso e popolare coinvolse D. Vincenzo Maria e D. Livia. La coppia ha avuto tre figli prima di raggiungere Roccella, di cui solo una sopravvisse: Donna Teresa. Arrivati a Roccella nel 1770, come detto, data la loro particolare devozione per la Madonna di Polsi, si rivolsero a Lei e chiesero un voto: quello di avere un erede maschio per garantire la continuità del casato. Le preghiere e le promesse hanno avuto l’effetto sperato: il 20 Agosto 1772, nacque nel Palazzo di Roccella, il futuro 9° Principe: Gennaro Maria. Mesi dopo, la coppia principesca, con l’erede, si avviarono verso la montagna al Santuario di Polsi, era loro intenzione sciogliere il voto. Durante la salita verso la Chiesa, il principino Gennaro è come svenuto, non dava segni di vita. Tutti lo davano per morto, immaginiamo lo strazio dei genitori. Fu preparata una piccola bara di legno dove fu sistemato il corpicino del bambino e continuarono il percorso fino al Santuario. Posto sull’altare tale bara, i sacerdoti presenti pregavano per il piccolo defunto. L’eccezionalità fu che il bambino si svegliò. Si è gridato al miracolo. Tale episodio fu ripreso e raccontato da scrittori e cronisti del tempo: è passato alla storia come “Il miracolo del Principe di Roccella”. Di tale prodigio si raccontano diverse poesie in tutte le lingue dialettali della Calabria. Per dare maggiore credito all’episodio, in una nicchia della Chiesa fu conservata la piccola bara di legno.
La famiglia del Principe era rientrata a Napoli, ormai da anni, quando la Calabria fu investita dal terribile terremoto del 1783. Dopo le prime forti scosse del 5 e 7 Febbraio, il Re Ferdinando IV dispose che i vari feudatari calabresi residenti a Napoli, si recassero ognuno nel proprio feudo per fare il resoconto della situazione e dei danni e stare accanto alla popolazione colpita e programmare il loro aiuto.
Il Palazzo di Roccella ha dovuto subire alcuni danni, come la maggior parte dei palazzi della Città, inoltre, dopo le forti scosse dei primi giorni, lo sciame sismico accompagnò la popolazione per diversi mesi. Convivere con la paura dell’arrivo di altre forti scosse ha ragionevolmente consigliato la gente di trovare soluzioni alternative. Quelle più immediate e più sbrigative furono di costruire baracche di legno. Perciò, l’odierna Piazza S. Vittorio, fu una successione di baracche di tavole, coperte con tegole, dove trovarono alloggio il Governatore, il Vescovo, il Principe D. Vincenzo Maria, Sacerdoti e tanta altra popolazione. Anche la Chiesa di S. Vittorio si rese inagibile tanto che fu costruita una apposita baracca adibita a Chiesa.
Per la costruzione delle baracche di legno in piazza S. Vittorio si fecero uso delle tavole, di proprietà del Principe, che solitamente venivano utilizzate per la costruzione di piccole baracche da affittare ai venditori in occasione delle fiere di Roccella che si tenevano nelle vicinanze della piazza S. Vittorio e nell’attiguo Misostraco.
Dopo circa un mese di permanenza nella baracca il Principe D. Vincenzo rientrò a Napoli, a Roccella lasciò il Palazzo con diverse lesioni che necessitavano di interventi. Le operazioni di riparazione di muri, tetto ecc. furono gradualmente finanziati e aggiustati.
Si è parlato del Palazzo senza specificare nei dettagli la sua grandezza e la sua disposizione. Di questo aspetto, si vuole riportare quanto verbalizzato nei documenti del passato.
Nella denuncia dei redditi del 1742, fatta dall’Erario dei Carafa, si dichiarò tra i Beni Feudali, “…Il Palazzo, che detto utile Signore tiene dentro detta Città, consistente in più appartamenti superiori, et inferiori, che lo tiene per stanza propria, e della sua Famiglia …”.
Molto sbrigativa ed evasiva tale dichiarazione che non richiama nei dettagli la sua estensione e maestosità.
Con l’abolizione della feudalità del 1806, è caduto anche quel secolare prestigio che aveva segnato il Palazzo e la famiglia Carafa.
Più precisa risulta la descrizione del “Catasto Provvisorio” stilato a Roccella nel 1816. Di proprietà dei Carafa, dentro la Città, risultano: “Casa Palazziata di camere cinquantadue superiori ed inferiori con tre bassi”; inoltre, “Casa Palazziata di sei camere e bassi ruinati”; ancora, “Casa Palazziata di due camere e due bassi”.
Tra il 1800 e 1900, non ci furono grosse spese per mantenere abitabile il vetusto maniero, ma solo semplice manutenzione.
Quando la sua fine era prossima, colpita dalla sua veneranda età, dagli agenti atmosferici e dall’incuria dell’uomo, si è dato inizio ad una continua azione di recupero e di suo uso, che gradualmente ci restituisce e ci fa vedere quella che fu tutta la sua imponente magnificenza. Da Capo Spartivento a Punta Stilo, è visibile la sua sontuosità su quello sperone.
Il Palazzo: un gigante sulla “Piccola Rocca”, un gigante per Roccella.